via Gaeta 10 - Busto Arsizio (VA)
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Expositions

berlino | From: 07 March 2017 | To: 12 March 2017 | berlino

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Yeoung Museum Gwangzou | From: 20 November 2013 | To: 20 December 2013 | seoul

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Solo Exhibition | From: 11 September 2014 | To: 11 October 2014 | Hong Kong - Kartell Flagship Store

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Asian, African & European Modern Art Exhibition | From: 21 October 2013 | To: 20 December 2013 | Chang Lian

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Adamo e il sogno dell'uomo | From: 21 November 2013 | To: 21 December 2013 | Galleria AlQuindici - Piacenza

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ARCHETYPES OF DREAMS | From: 04 February 2012 | To: 18 March 2012 | LUCCA - Lucca Center of Contemporay Art

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SCULTURA MONUMENTALE | From: 03 August 2012 | To: 30 December 2015 | MILANO IDROSCALO

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ARTrageous | From: 23 May 2011 | To: 23 May 2011 | New York City - USA

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Exhibitalia 2010 | From: 01 December 2010 | To: 06 December 2010 | Miami Art District/Art Basel

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Bandiere | From: 01 October 2010 | To: 31 October 2010 | GINEVRA, Manoir de Colony

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Slow | From: 24 October 2009 | To: 15 November 2009 | Orvieto - Palazzo del Gusto

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ICONS-иконы | From: 16 December 2009 | To: 22 December 2009 | Sanpietroburgo

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FILOSOFIA D'AMORE | From: 21 May 2012 | To: 30 May 2012 | MILANO, Design Library

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ENSEMBLE | From: 18 September 2012 | To: 31 October 2012 | Fidenza Village

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ARCHETIPI DEL SOGNO | From: 05 September 2012 | To: 15 October 2012 | Palazzo Ducale - Via XX settembre - Fiera di Genova

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arte pordenone | From: 15 May 2013 | To: 15 June 2013 | Per le vie della città

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PEOPLE | From: 15 July 2008 | To: 16 July 2008 | Palazzo Giureconsulti MILANO

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evento hangzhou | From: 19 October 2013 | To: 19 October 2013 | hangzhou shanghai

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News

Ceramics | 09 July 2016 | Pietrasanta

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Archetipi del sogno la danza | 23 October 2015 | Firenze

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link artfair hong kong | 23 May 2013 | hong kong

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Viaggio in Cina | 17 October 2012 | Shanghai, Xitan, Hangzho

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Media

Sandro Cabrini. Archetipi del Sogno
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Profilo





Critica

Maurizio Vanni

| Feb 2011

L’archetipo si collega alla nozione platonica, alla forma originaria sulla cui immagine il mondo della realtà fenomenica si è creato. Per Jung, al contrario, l’archetipo si rivela, si concretizza e si manifesta nel simbolo. Se prendessimo come buone queste definizioni potremmo pensare che ogni espressione della creazione abbia un proprio archetipo che, comunque, risulterebbe differente a seconda di chi compie una particolare azione. Sandro Cabrini ha un rapporto ironico-esistenziale con l’arte, è consapevole del significato del non-sense della vita intesa come semplice sopravvivenza, ma è convinto che la superficialità, il pressappochismo, l’illogicità e le diverse incongruenze possano essere mutate in poesia artistica. Le originalità del lavoro di Cabrini corrispondono alle apparizioni poetiche, misteriose, solitarie e collettive basate su quello che Nietsche definirebbe stimmung (atmosfera). Da una parte archetipi-tracce che sembrano evoluzioni consapevoli dei segni graffiati nelle caverne 35.000 anni fa: vere e proprie urgenze espressive, silenti urla votive e invasioni pacifiche nel quotidiano che riportano l’individuo al centro della propria esistenza. Dall’altra sagome umanizzate che contaminano i palinsesti di energia positiva, di colore e di luce. Una sorta di impronta della sua mente legata al personale rapporto tra oggetto e soggetto, tra finito e infinito, tra archetipo e matrice universale, tra realtà e lucido sogno. Potremmo definire l’arte di Cabrini come la rappresentazione di momenti di una realtà archetipica, uno strumento per aspirare alla comprensione delle leggi non scritte dell’universo: le sue forme, ripetute con ossessione e sensibilità, sembrano volare come uccelli migratori alla ricerca della migliore formazione possibile per compiere un tragitto improbabile che sembra fuori portata. Loro ci credono, loro raggiungono il loro obiettivo geografico e vitale. Le matrici di Cabrini, sempre uguali e sempre diverse a loro stesse, combinate in strutture altre o isolate dal contesto, non risultano figure illusorie, ma stargate dimensionali in grado di far superare le barriere che ogni persona è obbligata ad erigere per difendersi dagli attacchi del mondo. Cabrini sceglie un archetipo caro ai bambini, una sagoma sintetica che tanto ricorda quella realizzata dai piccoli quando cercano di concretizzare le figure-prototipo ideali: la mamma e il papà. Ne consegue una favola per grandi redatta con lo spirito, l’intraprendenza, la genuinità di quel bambino che potrebbe offrire tantissime lezioni di vita agli adulti. Le grida si trasformano in sorrisi mentre la nostra mano cerca di accarezzare la luna.



Alessandro Romanini

| Oct 2010

“Non è mai troppo tardi per farsi un’infanzia felice” afferma il sagace Tom Robbins. Infanzia come inesauribile repertorio di ricordi, soluzioni visive ma soprattutto di entusiasmo e pensiero espressivo antifunzionale. Cabrini affronta con una serietà e un’applicazione indefessa l’attività artistica, tanto da ricordare l’impegno indefesso con cui i bambini approcciano il gioco. Pittura come libertà, come strumento primigenio ed espletamento dell’insopprimibile necessità di espressioneQuella necessità la cui soppressione porta alla nevrosi come sostiene Jung. Per Cabrini la tela o la tavola rappresentano un terreno su cui giocare la partita dell’”antifunzionale”, della rottura del nesso causa-effetto che regola i ritmi circadiani impiegatizi a favore dei percorsi sincopati e carsi dei ritmi mentali più consoni alla geografia onirica. Ma quello dell’artista non è un gioco naif, puro istinto, ma una sapiente orchestrazione di codici e registri. A questo concetto risponde la strutturazione dello spazio compositivo, derivato dalla sintassi architettonica, che lascia trasparire un codice etico, simboleggiato dalle figure che sono i motori e i parametri dello spazio. Allo stesso modo in cui l’architettura è funzionale all’individuo. Accennavo all’estrema coscienza con cui Cabrini orchestra segni apparentemente elementari e colori primari. In prima istanza simbolo dell’urgenza espressiva e allo stesso tempo urlata volontà di rivendicare uno spazio autorevole allo spettatore. Uno spazio che liberi il fruitore dalle istanze meramente contemplative a regime passivo per forzarlo ad un’attività creativa integrativa, anticamera all’espressione, sorta di simulazione di percorso. L’apparente semplicità, forma estrema di conquista espressiva e stilistica, affinata alla luce del lungo e inesausto esercizio è in realtà un ricco e complesso substrato di richiami interdisciplinari dotti. Rappresentano il cammino verso la conquista di uno stile personalissimo, condensato di riflessioni e visioni, prelevate equamente dalla tradizione storico-artistica intrecciata armonicamente con eventi di provenienza biografica. Il processo creativo dell’artista e il suo fare pittorico, la sua indagine estetica e la sua osservazione delle cose umane non sono mai prescrittivi ma problematici, perché l’autore lascia trasparire la convinzione che non esistano valori assoluti e azioni esecrabile. La forma, la simmetria compositiva nelle opere di Cabrini sono viatici per la bellezza e atti apotropaici contro l’empatia e la perdita di forma del mondo circostante. Forma come strumento indispensabile per percepire e fruire l’armonia che ogni giorno ci circonda e che viene tradotta metaforicamente dai segni e dai colori nel processo creativo di Cabrini. Segni e colori organizzati in armoniche visioni per soddisfare l’insopprimibile pulsione inscindibile dall’essere umano.



Elisabetta Longari

| Jul 2008

Colori primari, e un segno elementare, quasi tribale, che è un esplicito sintagma dell’uomo, una specie di croce uncinata, una X, che si ripete uguale ma diversa e crea un pattern, mentre si aggrega in sciami o si disperde nello spazio rarefatto. Ogni lavoro ha il suo peculiare e spiccato ritmo visivo e sembra dire con tutta evidenza che la società degli umani è organizzata in modo non dissimile da quella delle formiche. Le immagini di Cabrini conficcano una spina nel cuore del pensiero occidentale, o meglio, nel suo occhio, svolgendo un’azione analoga a quella del rasoio che fende la pupilla in "L’age d’or" di Bunuel e Dalì. Proprio come dalle tavole di un manuale d’etologia e d’antropologia combinate (del resto cos’è l’uomo se non un animale particolarmente evoluto?), dalle immagini di Cabrini si evincono le dinamiche basilari che presiedono le relazioni umane, la tendenza al “branco” e soprattutto la sua strumentalizzazione che vuole omologare tendendo ad annullare l’individualità. “L’uomo ridotto a simbolo, ad uno schema semplice che pur nella sua semplicità può esprimere attraverso codici universalmente riconosciuti il suo stato d’animo. Le braccia aperte accolgono, curve danzano, abbassate sono in attesa”: così Cabrini svela il linguaggio dei suoi segni. Alla radice di tutto c’è, come sostiene egli stesso, “un liceo artistico fatto col fuoco dentro, con cartelle che a fine anno contenevano centinaia di disegni e schizzi”. Poi ha fatto il resto l’amore indiscusso per Klee e per le ricerche del Bauhaus, di cui, da ragazzo, ha approfondito il metodo didattico attraverso una nutrita bibliografia, e di cui ha principalmente ammirato e “invidiato” il caratteristico spirito di gruppo. Nascono già alla fine degli anni Sessanta questi segni che, antichi e contemporanei al tempo stesso, vagamente richiamano alcune incisioni decorative vascolari, forse incrementati nella loro genesi dall’esperienza delle estati del 1968 e del 1969, “due intere estati passate a Ravenna a fare scavi archeologici nelle regge di Teodorico, grazie all’aiuto di Raffaellino De Grada”, come ricorda Cabrini. Segni “imparentati” per certi versi alla scrittura cuneiforme di Arnaldo Pomodoro e alle ricerche dei componenti del milanese Gruppo del Cenobio, ma assolutamente autonomi e inconfondibili anche e soprattutto per la loro verve comunicativa e narrativa.



Serghei Lazzaretti

| Jul 2008

"Noi siamo liberi quando i nostri atti promanano dalla nostra intera personalità, quando la esprimono, quando hanno con essa quella somiglianza indefinibile che si trova talvolta tra l’opera e l’artista." Henry Bergson Oggi sappiamo che non vi è evoluzione senza trasformazione, e l’evoluzione della società umana nel corso del Novecento ha toccato vertici inimmaginabili, ed è proprio alla conclusione dello scorso secolo e nell’inizio del nuovo millennio che si è registrato un profondo mutamento, del resto a tutti evidente, nella società globale. Cabrini ci ricorda come ciascuno di noi è immerso nel flusso del proprio tempo con compagni spesso inconsapevoli, che non esiste necessariamente un conflitto tra individuale e collettivo e che anzi il collettivo rappresenta una risorsa per l’individuo nel momento stesso in cui lo stesso comincia, intimamente e consapevolmente, a pensare al “noi” come soggetto collettivo. Pensare in termini di “noi” attiva risorse che generano comportamenti e producono risultati inaspettati che si ripresentano all’individuo come arricchimenti delle proprie convinzioni e dei propri punti di vista, in una parola della propria identità. La nostra identità è qualcosa che ri-negoziamo costantemente nel corso della nostra vita e le diverse forme di partecipazione individuale si possono paragonare a tasselli di un mosaico che mettiamo assieme, anziché a parti di noi stessi separate da confini rigidi. Cabrini nelle diverse tappe della sua opera sottolinea che la crescente complessità del mondo in cui viviamo genera un senso di impotenza in chi si trova sommerso in un mare di informazioni e cambiamenti di ordine socioeconomico senza possedere una bussola per orientarsi e che non è possibile venire a capo della complessità con la sola semplificazione, ma serve un punto di vista diverso e allo stesso tempo una capacità di abbracciare la visione di insieme senza perdersi i dettagli.